Incontri fuori dal tempo

Avete presente quei giorni in cui prendi la moto più per il piacere di goderti le ultime belle giornate d’autunno, che per andare da qualche parte? Dopo una mattinata d’Ottobre in sella, mi ritrovo in Campania, ai piedi di un monte che avevo sentito nominare da amici motociclisti e ciclisti. Il cielo è un pò cupo, tuttavia nello zaino ho un panino comprato poche ore prima in un altro dei tanti borghi attraversati dalla vecchia provinciale che ho percorso. Do un’occhiata al cellulare per cercare di capire la direzione da prendere per andare in cima.

La strada sale rapidamente e ripidamente lasciando scorrere al mio fianco un panorama davvero non comune. Poi si inoltra, spianando, verso un bosco ancora non completamente virato all’arancione. Non c’è quasi nessuno, mentre scatto qualche foto scorgo solo una famigliola presso la loro casetta di montagna, qualche centinaio di metri piu in là.

Arrivo ad un’area picnic abbandonata, ma ancora funzionale. Fa decisamente freddo quassù, quindi mi siedo ad una panchina a mangiare il panino, sfilando solo casco e guanti. Intanto compare un gregge di pecore, con un nutrito numero di maremmani al seguito… fortunatamente sotto gli occhi attenti del pastore, che saluto con un cenno della mano.

Incuriosito dalla presenza di un motociclista, evento probabilmente raro da queste parti (ancor più di questi tempi…) si avvicina e mi chiede da dove io venga e come mai fossi finito là sopra: parla dialetto campano, che per fortuna non è molto dissimile dal mio. Mi presento, e ne approfitto per chiedergli qualcosa e scambiare quattro chiacchiere.

Ascoltandolo, mi rendo presto conto che l’uomo che ho di fronte (il quale nell’aspetto ricorda molto un giovane Troisi) ha un privilegio davvero raro per un europeo nel 2020: vivere in un mondo in cui non esiste globalizzazione. Un mondo in cui le distanze fra i paesi sono davvero distanze e non minuti di automobile o il tempo dell’apertura di una chat, dove la voce dell’informazione di massa non si sente nemmeno stando in silenzio ad ascoltare, anche perchè parla una lingua diversa dal dialetto campano. Ascolto con attenzione mentre mi racconta di come sale a piedi col suo gregge, dalla sua fattoria fino ai pascoli in quota dove ci troviamo adesso: una vita fatta di sacrifici e di fatica, ma piena di una dignità che arriva come un ceffone in faccia a ricordare quanto è cambiata la nostra società nel giro di pochissimi anni. In ogni caso, semba una persona felice.

Mi domando se chiedergli cosa ne pensi della pandemia che ci accompagna… poi però penso che esiste la possibilità che non sappia nemmeno che ci sia. E mi sentirei in colpa a levargli questo privilegio almeno quanto mi sentirei in colpa a violare il suo mondo chiedendogli di scattare qualche foto mentre pascola il suo gregge. Ragionamento forse stupido, ma tant’è che alla fine ho fotografato solo le pecore.

Intanto ho finito il panino, gli chiedo di tenere a bada i cani e riprendo la strada al contrario (essendo anche l’unica asfaltata!). Scendendo ho il tempo di riflettere un po’, gustandomi ancora una volta il panorama: sono incontri del genere a trasmettere l’essenza dei luoghi che visitiamo. Scambiare due parole con qualcuno è portare con se parte dell’anima del luogo in cui vive, lasciando al contempo una traccia di sé stessi.